Buell S1: ride the lightning!

Venticinque anni fa il web non era alla portata di tutti: blogs, social networks e smartphones semplicemente non esistevano.

Se avevi 18 anni, nel 1996, andavi in edicola.

Nell'ultimo numero di quell’anno, Motociclismo piazzava in copertina una motocicletta nuova per il mercato nostrano.

Esclusiva, artigianale, affascinante, carissima: la Buell S1 Lightning 1200.

La Numero Uno, presentava la grande novità sportiva di casa H-D, annunciando l'imminente importazione dei modelli Buell, attraverso la prova di una motocicletta radicale.

Venticinque anni fa sfogliando una rivista si poteva sognare una Buell, un concetto su due ruote.

Non funzionale, non confortevole, nessuna elettronica.

Solo ghisa e acciaio, tecnica e istinto.

Un mezzo inutile, arrogante e aggressivo.

In pratica una vera moto.

Nel 1986 l’ingegner Erik Buell presentava la sua prima creatura su due ruote, la RR 1000 che avvolgeva il famigerato bicilindrico XR 1000 con un telaio completamente artigianale ed una carenatura integrale controversa e controcorrente.

Negli anni seguenti, la ferma volontà di costruire “the ultimate american sport tourer” portò alla nascita dei modelli S3 e S2 Thunderbolt.

Dieci anni dopo dall’esordio della Buell Motor Company, nel 1996, arrivò il momento di immaginare una moto che fosse più sport che tourer, una streetfighter nuda e cruda, potente e di carattere, che potesse imporsi sul mercato, in patria e nel resto del mondo.

Ecco cos’è la S1 Lighting, la sintesi di Erik Buell del concetto di moto sportiva americana: il generoso bicilindrico small-block Sportster con intorno una struttura che gli permetta di esprimersi al meglio per prestazioni e guidabilità.

Non è un caso se abbiamo deciso di importare dal Wisconsin questo esemplare di S1 prima serie.

Carrozzeria nera e telaio grigio, la stessa combinazione di colori di quella che condivideva con una pantera nera la copertina di quel Motociclismo del 1996.

La prima Buell che i nostri occhi italiani hanno ammirato e bramato.

Trovarsi davanti e poter toccare con mano un oggetto dell’adolescenziale desiderio testimonia quanto le emozioni possano modificare il tempo: due ruote, un grosso motore e carrozzeria minimale; eccezionale ora come allora.

Buona parte del fascino che emana è dovuto dalla coraggiosa ingenuità con la quale 25 anni fa fronteggiava le agguerrite concorrenti europee e giapponesi.

Una piccola e strana motocicletta, costruita in una fabrichetta americana, mossa da un antiquato motore H-D che voleva dar filo da torcere e sottrarre quote di mercato a Ducati Monster e Honda CB 1000?

Ma scherziamo?

No, Erik Buell non scherzava affatto.

Il bicilindrico 1200 cc. all’esterno può sembrare lo stesso di qualsiasi altro Sportster ma è stato profondamente modificato: differenti teste, albero a camme, pistoni ed accensione.

Il risultato?

Un’ottantina di cavalli alla ruota.

Una potenza che, in tandem con un peso di circa 200 chili, baricentro basso e cortissimo interasse fanno della S1 un mezzo divertentissimo: rapido e scattante caratterizzato da coppia infinita e progressione che fino ai 6000 giri non smette mai di spingere.

Bella da guardare e ancor più bella da guidare, l’habitat ideale dell’S1 sono i tratti misti e tortuosi, il telaio a traliccio al cromo molibdeno e le ristrette geometrie danno sfoggio della loro maneggevolezza, la piccola Buell danza tra le curve.

Uno degli slogan della Buell Mo.Co. era “Own the corners”, impadronisciti delle curve, una filosofia che la S1 riassume egregiamente.

Dopo una galoppata sul rettilineo superando i 180 orari si avvicina la curva, si scalano un paio di marce, il peso carica l’avantreno, si scende in piega e alla corda si ricomincia ad aprire il gas, l’S1 scalcia, tuona e pretende una guida vivace, sfida chi sta in sella, ci vuole polso fermo per gestire la poderosa coppia motrice che spara uomo e macchina come un proiettile verso la curva successiva.

Non chiedete ad una Buell S1 di essere comoda, razionale, intuitiva o amichevole; impugnate saldamente il manubrio e lasciate che vi spieghi che cosa sa fare.


” Un mezzo inutile, arrogante e aggressivo.

In pratica una vera moto. “

Scritto da Corrado Ottone e Alberto Zanini.

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