Lindner: la Porsche non Porsche.

La storia automobilistica è ricca di piccoli racconti, alimentati dal sogno e dalla determinazione.

Non tutte le storie del passato hanno fatto clamore, ma alcune, per nostra fortuna, sono giunte fino ai giorni nostri.

Come la storia dei fratelli Reimann, Knut e Falk, studenti di ingegneria, nati con la passione per i motori, ma nel periodo e nel posto sbagliato.

Questa storia si svolge nei primi anni 50, nella Germania divisa dopo la Guerra, precisamente ad Est.

Il loro sogno era la Porsche 356, la prima auto sportiva di serie, costruita in Germania, apprezzata ad Ovest come simbolo della rinascita del paese, ma assolutamente vietata nella Germania dell’Est.

I gemelli Reimann, invece di chiudere il loro sogno in un cassetto, decisero di costruirsi da soli la loro Porsche 356, partendo come base dal materiale militare abbandonato che trovavano in giro, in particolare i Pick-Up militari della Ford, dai quali recuperarono le lamiere da far battere per dare forma alla loro 356.

Con l’aiuto di un battilastra locale, tale sig. Lindner, diedero forma a questa specie di Frankenstein, il cui risultato si discosta di poco dall’originale.

Ad una attenta comparativa, si vedrà che la loro auto è 30cm più lunga di una 356 originale, tanto da avere 2 file di posti, che molti dettagli erano presi da altri mezzi pre guerra, ma è sorprendente come partendo da pochi riferimenti, siano riusciti a mettere insieme i disegni per arrivare ad avvicinarsi al prodotto Porsche.

L’ultimo ostacolo da superare, era il motore.

Armati di coraggio si presentarono in casa Porsche, dove, spiegando il progetto ad alcuni dipendenti, riuscirono a far giungere la loro voce direttamente a Ferry Porsche, il quale, nonostante un primo disappunto, decise di alimentare il sogno di questi fratelli, e con una comunicazione via lettera ufficiale, fece recapitare loro del materiale originale, anche se di seconda mano.

Il tutto spedito al concessionario Volkswagen in Germania Ovest, per poi lasciare a loro il compito di portarlo a casa.

Nella lettera, il signor Porsche, augurava “buona fortuna” con la loro Porsche fatta in casa.

Con un vecchio motore Volkswagen, pistoni, cilindri e carburatori originali Porsche, riuscirono a mettere insieme un propulsore in grado di spingere il loro mezzo a circa 130 km/h, non molto lontano dalle prestazione delle Porsche originali.

Dal 1954 in poi, i fratelli intrapresero un viaggio attraverso l’Europa, spingendosi fino a Parigi, salvo poi venir arrestati dalla Stasi, finendo in carcere per circa 2 anni, facendo così perdere le tracce della loro vettura.

In realtà, a seguito di questo primo esemplare, furono realizzate altre 12 vetture, con il benestare di casa Porsche, conosciute come “GDR Porsche”, o Lindners (dal nome del carrozziere) e commercializzate successivamente alla loro avventura. Anche se ad oggi ne esistono non più di 2 o 3 esemplari.

La storia dei fratelli Reimann, della loro passione e determinazione, è appassionante ed avvincente.

Il supporto ricevuto da Ferry Porsche, in un periodo così teso per la Germania, fu encomiabile.

Questa piccola storia, nella sua genuinità, resterà nella storia dell’automobilismo, a testimonianza che quando si parla di passione e di motori, non esistono barriere.

“invece di chiudere il loro sogno in un cassetto, decisero di costruirsi da soli la loro Porsche 356”

Scritto da Andrea Vailetti.

Andrea, grazie per averci raccontato questa affascinante storia, monito e incoraggiamento a non smettere mai di rincorrere i propri sogni.

Le scuse sono gratuite, le soluzioni hanno un prezzo ma ripagano, sempre!

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