Andrea Vailetti: la mia Porsche 356.

Mia perché come lei non ce ne sono altre, ma non perché sia più bella, o più particolare, anzi è una onestissima Cabrio Bt5 del 1961, ma semplicemente perché è la mia. Sembra una frase strana, insensata, ma è successo che ci siamo trovati 23 anni fa, e da quel giorno ha fatto parte del mio bagaglio di vita.

Ma andiamo per ordine.

Quando avevo 11 o 12 anni , rimasi folgorato guardando Michael J. Fox nel film “Doc Hollywood”. Lui guidava una Speedster rossa per le strade del South Carolina, e ricordo una scena del film nella quale i meccanici cercavano il motore davanti invece che dietro. Chi mi conosce sa della mia passione per le Porsche, ed ecco, forse quella è stata la scintilla che ha creato in me l’amore e la dipendenza dal marchio di Stoccarda, che con le sue originalità ha creato un mito fuori dal coro.

Poi fu la volta di Dylan in Beverly Hills 90210, altra Speedster, altro amore.

Poco importa se entrambe le auto usate nei film non fossero Porsche originali, ormai il danno era fatto, ed io ne ero innamorato.

Nel 1997 si iniziava a vedere all’orizzonte l’arrivo dei miei 18 anni, mentre tutti i miei compagni sognavano la nuova Audi A3 o similare, io, cresciuto in una famiglia innamorata dei motori d’epoca, decisi di chiedere una 356 invece che una macchina moderna.

Non pensiate che all’epoca le cifre fossero come quelle di oggi.

Non erano ancora pezzi così ricercati, non esisteva su questi mezzi l’ossessione del “matching numbers” (leggi accoppiata motore/telaio originali di fabbrica), o altre diavolerie da cacciatori di perle rare.

Mi ricordo di averla trovata con una inserzione, non on-line ma cartacea. Dopo le prime informazioni telefoniche, ci ritrovammo in una trasferta fino a Crema per vedere questa piccola 356 rossa che si trovava “parcheggiata” nel retro di una carrozzeria, importata dal Canada da un ragazzo un po' trafficone, e destinata a qualcuno che ne potesse coltivare le potenzialità.

Si trovava sotto una tettoia, impolverata, e ricordo ancora la mia mano sulla portiera, il “clack” di apertura, e la mia sensazione di trovarmi a casa.

Dopo la contrattazione ed un accordo scritto su di un foglio protocollo a righe, le chiavi erano finalmente mie (3 chiavi, di cui una, ancora oggi, ignoro la funzionalità), e la frittata era fatta.

La manutenzione in questi anni è stata quasi nulla. La mia 356 è riuscita a stare ferma per 6 mesi e poi farsi 800km nelle Langhe in 3 giorni come se nulla fosse. Negli ultimi 23 anni avrà visto il meccanico 4 o 5 volte e mai per cose serie. Forse il lavoro più importante è stata una revisione dei carburatori questo Gennaio. Ma lei è sempre pronta a partire, a farsi guidare ed a farmi sognare come se fossi in “Doc Hollywood”.

Intendiamoci, era, ed è, tutt’altro che perfetta, ma è anche quella patina generale a darle l’attitudine che mi piace, forse perché un po' mi ci riconosco.

In una gara dell’esemplare meglio conservato, forse arriverebbe tra le ultime, ha il cruscotto del colore sbagliato (nero opaco invece che rosso), le ho montato un volante inglese in legno invece che il suo originale, ha una capote a scomparsa invece che quella di ordinanza; ma sapete cosa c’è: a me non interessa! Non mi è mai nemmeno venuto in mente di riportarla alle origini, di cancellare i suoi segni del tempo. Mi affascina immaginare le storie che può aver vissuto prima di diventare mia, il perché quel cruscotto sia stato fatto nero opaco, o perché la capote sia stata sostituita, o perché un giovane diciassettenne italiano abbia pensato di metterci un volante in legno che poco centra con quello originale in bachelite.

Io credo che questo mix di originalità, di piccole modifiche, di olio e benzina, di strada percorsa sotto il sole estivo, o nel freddo invernale, insomma tutto questo equilibrio maturato nel tempo, siano la chiave del suo successo, del suo essere funzionante e combattiva.

Oramai è una di famiglia, l’ho guidata in lungo e in largo, ci ho fatto qualche raduno, ha fatto da cornice alla mia proposta di matrimonio, e ci porto in giro mia figlia da quando era piccola, e non mi importa che non sia una speedster, lei è mia e come lei non c’è nessuna.

P.s. per tutti quelli che invece sono maniaci del “Matching Numbers”, vi voglio confidare che la fortuna è stata dalla mia parte, monta ancora il suo motore originale e tutti i pannelli carrozzeria hanno la marchiatura corretta.

Forse, in fondo in fondo, è stata lei a scegliere me, ed a farmi un fantastico regalo.

Andrea Vailetti

Esistono persone con le quali ci si capisce subito. Esperienze e sensazioni comuni, anche se vissute in luoghi e tempi diversi, la concomitanza di passioni, creano spontanea empatia.

Andrea Vailetti è una di quelle persone.

Fotografo di talento, appassionato di motori, porschista per vocazione e amico.

I suoi scatti parlano, raccontano storie e proiettano atmosfere.

Ieri sera con Andrea ci siamo bevuti una birra, ci siamo scambiati moto e opinioni. Le passioni di famiglia tramandate da suo padre e da suo nonno, i primi passi su due ruote mossi da bambino su una Indian minibike, poi le corse sulle strade di campagna con Ossa e Montesa.

Il fuoristrada a 2 e 4 ruote, le avventure e disavventure con la sua amata 356.

Storie di una vita insieme ai motori, che condivise con chi le capisce e ci si immedesima sembrano scrivere un libro nelle cui pagine ci si sente a casa.

Automobili e motociclette sono semplici giocattoli per bambini cresciuti, le persone che le amano e le vivono sono il vero valore aggiunto.

Grazie Andrea!

Corrado Ottone

“Forse, in fondo in fondo, è stata lei a scegliere me.”

Foto, auto e racconto di Andrea Vailetti.


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