Harley-Davidson Springer Softail 85th anniversary:

Avete mai provato una Harley-Davidson Springer?
Vi siete mai specchiati nel suo fanalone affidando la vostra vita ad una forcella fatta di sottili bacchette cromate?
Se la risposta é negativa avete la speranza di scoprire una nuova passione. Altrimenti o la sognate o ne possedete giá una.
Non é di certo una cosa che si dimentica, cosí come l'inizio di una passione.

So bene quando la mia é iniziata, non tutti possono dire lo stesso.
E' accaduto una domenica di Maggio di 33 anni fa, mentre sfogliavo una rivista patinata, mi sono imbattuto in un articolo strano.
Veniva descritta una motocicletta che sembrava nuova, ma non poteva esserlo. Classica al limite dell'eccesso, obsoleta, e bellissima.
Era raccontata in modo curioso, sembrava una pubblicitá, ma parlava quasi di sentimenti, un'intima confessione, coinvolgente e diretta.

La motocicletta era una Harley-Davidson Springer Softail del 1988, versione 85th, e in fondo all'articolo un nome che negli anni ho imparato a conoscere.

Lo riproponiamo integralmente per puro spirito di condivisione, dopo 30 anni la rivista non esiste piú, ed é il momento giusto per ritrovare quello spirito.

"Dovevo avere forse tre anni quando il disco ha cominciato a suonare intorno a me. Lo stesso disco che suona ancora oggi. Molto spesso. Saranno gli anni passati ad ascoltarlo, sarà che son cambiato io, ma qualche volta mi trovo a cantare una canzone che esisteva da prima che nascessi. Da prima che nascesse mio nonno. Credo che proprio da mio nonno ascoltai quelle parole che diventarono così familiari negli anni a seguire: - Chissà dove andremo a finire di questo passo. Mio nonno se lo domandava a voce alta guardando una tonda, mansueta e graffiante Alfa 1900 Super. Era entrata, guidata dall'autista, nel giardino di casa. Mio nonno ci girava intorno attratto ed intimidito insieme. - Dove andremo a finire - borbottava. Sulle strade moderne a più di 150 all'ora. È da pazzi. 

Mio nonno ha fatto in tempo a vedere una F. 40 o una 959. Io ho fatto in tempo a vedere una Harley-Davidson Springer Softail. Le ho girato intorno stupefatto. L'ho guardata per un tempo infinito. L'ho circondata e accarezzata con occhi d'amore. La prima frase che mi è venuta in mente l'ho farfugliata a mezza voce. Ma dove andremo a finire.


Mancavano tre o quattro anni alla fine del secolo quando tre amici molto giovani cominciarono a sferruzzare, in un garage di legno, attorno ad un motore e a qualche pezzo di ferro. Mesi passati a lavorare ed una motocicletta come risultato. Due di loro portavano un nome che non diceva niente.

Si chiamavano Harley e Davidson. Non lo sapevano, ma stavano per dare inizio ad una leggenda, che nacque legalmente qualche anno dopo. Nel 1903 a Milwaukee, nella provincia americana nacque la prima Harley-Davidson con due cilindri a V. Attraversò una grande America in crescita, e la depressione del '29. Visse la guerra da protagonista invadendo con le sue WL 750 tutto il mondo conosciuto. Vide cadere una dopo l'altra le centinaia di marche motociclistiche americane. L'ultima, la Indian, nel 1952. 

"Una leggenda si misura in anni. Non bastano i secondi", recitava una pubblicità Harley-Davidson degli anni '70, quando le marche giapponesi sfoderavano sempre meno secondi per coprire i 400 metri da fermo ed accelerazioni 0-100 che ridicolizzavano Fittipaldi.

È ancora viva l'Harley, con i suoi cilindroni a V, fuori tempo e fuori moda. Ogni tanto guardo una Harley e cerco di rispondere alla domanda che in tanti mi fanno a proposito delle ragioni che spingono un essere pensante a spendere una valigiata di soldi per trascinare a casa questa città di bulloni ed acciaio e cromature, con pistoni larghi come tombini e vibrazioni generose, con un aspetto da vecchia locomotiva. Me lo chiedo e non so rispondere. Me lo ha chiesto anche il mio direttore di banca prima di concedermi un prestito per comprare la Springer. - Ne ho già parecchie di Harley, direttore, - gli ho risposto - ma quando ho visto questa, mi ha fatto male qualcosa dentro la pancia. Non posso stare senza questa moto, senza questa forcella. Senza il suono di questo motore.

Ha abbassato gli occhiali da lettura, i suoi occhi chiari, freddi guardavano i miei e si abbassavano sul catalogo Harley che aveva davanti. Guardava me e guardava lei, la Springer. Forse è stata una mia impressione ma i suoi occhi si scaldavano. Il mio direttore è sposato, ha dei figli, il mio conto è rosso dalla nascita, io non sono bello. Credetemi si scaldava per la moto non per me. Ha detto qualcosa a proposito della sua preferenza ad accordarmi un prestito per farmi consigliare da un bravo analista, ma poi ha firmato l'autorizzazione. Non solo. Ha comprato un Harley, che sta lì, tutte le mattine, fuori dalla banca, nera lucida, come non ne ho viste mai. Non so come vanno gli affari della banca, ma il direttore mi sembra più allegro. Sicuramente più simpatico quando alle cinque si staglia sulla porta della banca, vestito come uno sceriffo, casco e giacca con le frange compresi. Forse questo è il potere straordinario di questa motocicletta: quello di trasformare carattere ed abitudini del proprietario. Sarà il legame con la leggenda del cowboy solitario, darà il tanto cinema americano, ma quando salgo su una Harley mi viene una faccia diversa. Una specie di sardonico sogghigno mi lampeggia sul volto, che nella mia mente assomiglia tanto al John Wayne dei giorni migliori. Forse non ho carattere, forse non ho personalità, però sono sincero: sono vittima indifesa di due cilindri a V."

Carlo Talamo

 

“Non é di certo una cosa che si dimentica, cosí come l'inizio di una passione.”

Scritto da Alberto Zanini

 
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