Sundance Tokoro: Weapon I & Weapon II.

Le gare riservate ai bicilindrici denominate Battle of The Twins, più semplicemente BOTT, nascevano attorno al 1980 negli USA e si erano successivamente diffuse negli altri paesi del mondo raggiungendo una particolare popolarità in nazioni come Germania, Francia, Giappone e Nuova Zelanda.

Le gare per monocilindrici, sempre a quattro tempi, avevano mosso i primi passi in Inghilterra nella metà degli anni Settanta senza però raggiungere, almeno fino alla fine degli anni Ottanta, una grande diffusione.

Iniziate nel 1985 le competizioni dedicate ai mono, in Giappone, avevano da subito raggiunto notorietà e seguito fenomenali.

Nel giro di pochi anni il successo del campionato Sound of Singles dovuto alle avvincenti lotte tra le numerose Yamaha SRX preparatissime, fece da traino a quello dedicato alle bicilindriche; nel 1988 la BOTT era già una realtà sui tortuosi tracciati del Sol Levante.

Nelle ultime gare del campionato BOTT nipponico del 1989 il numero degli iscritti con moto bicilindriche sfiorava quota 400, il motivo era soprattutto da imputare agli importatori di motociclette europee, i quali avevano percepito quale opportunità di marketing potesse derivare dalle corse.

In pista i bicilindrici erano suddivisi in due categorie: Expert e Modified.

Nella categoria Expert non c’erano limiti di cilindrata e praticamente tutto era libero purchè il motore avesse due cilindri e fosse a quattro tempi.

Per la categoria Modified il regolamento prevedeva l’impiego di telaio, carburatori e principali parti del motore di serie; le moto apparentemente più stock erano le Ducati 851 e le 888 “Lucchinelli replica” mentre le altre erano praticamente pezzi unici, sofisticati prototipi su base BMW e Guzzi forgiati in kevlar, fibra di carbonio e honeycomb di alluminio.

Nel Settembre del 1988 sulla griglia di partenza del circuito di Tzukuba fece il suo esordio, proprio nella classe Modified, una motocicletta molto diversa dalle altre concorrenti, una bicilindrica americana pronta a sfidare le “nemiche” europee sul suolo giapponese.

Alcuni mesi prima, nel 1987, l’ingegnere Erik Buell presentò la sua prima motocicletta da quando aveva lasciato Harley-Davidson e aveva fondato la sua Buell Motor Company: la RR 1000 Battletwin, una visionaria interpretazione squisitamente artigianale delle sue teorie progettuali sviluppata attorno all’iconico motore XR 1000.

Flyer promozionale presentazione Buell RR 1000 - 1987

Takehiko Shibazaki, l´attivissimo titolare della rinomata factory Sundance Custom Cycle di Tokyo, innamorato e profondo conoscitore delle Harley ad alte prestazioni rimase molto colpito da quella nuova ed eccentrica super bike: una di quelle creature dell’americano che aveva trovato il coraggio di lasciare la Mo.Co. per inseguire i suoi sogni doveva essere sua!

Dopo un paio di mesi di trepidante attesa una RR 1000 arrivò a Tokyo, la motocicletta era veloce e divertente, aveva carattere da vendere ma nella mente del boss di Sundance quella moto poteva fare di più, poteva essere più potente e veloce, in strada era performante ma in pista avrebbe potuto esprimere appieno la sua indole.

La RR 1000 sulle strade di Tokyo in versione stock - 4 Marzo 1988

Il team Sundance al gran completo si dedicò alla preparazione della Buell, adottando, tra l’altro, pistoni ad alta compressione, nuovi alberi a camme, impianto di accensione Dyna 2000 e una coppia di Mikuni a valvola piatta da 40 mm.

Lo scarico rimaneva il performante Supertrapp 2:1 di serie, radiatore dell´olio di grandi dimensioni e teste flussate.

La potenza arrivò a quota 88 CV e tutta la messa a punto richiese una cura particolare per adattare il funzionamento del motore dal clima secco degli Stati Uniti a quello decisamente più umido della zona vicino Tsukuba.

La ciclistica era affidata ad una forcella Marzocchi M1R con sistema anti affondamento A.C.T. regolabile come il monoammortizzatore posteriore, costituito da un’unità Works Performances.

I bellissimi e leggeri cerchi Dymag in magnesio 16” a tre razze di serie rimanevano inalterati insieme ai dischi flottanti da 320 mm, le pinze freno di primo equipaggiamento lasciavano il posto ad una coppia di Four Months a quattro pistoncini all’anteriore e una Performance Machine singolo pistoncino in alluminio billet al posteriore.

Mentre l’allestimento della RR 1000 procedeva, una convinzione estetica cominciava a prendere forma nella mente di Shibazaki-San: cotanta affascinante meccanica non poteva essere celata dalla opulenta carenatura ideata da Erik Buell, quel motore XR 1000 era talmente affascinante che non poteva essere nascosto a favore del coefficiente aerodinamico.

Il nuovo vestito “cucito” da Sundance era costituito da una affilata semi-carenatura che lasciava la sezione inferiore del motore in bella vista e si rastremava nel posteriore per terminare in un codino minimale con finale a becco d’anatra.

Aerodinamicità mantenuta e look aggressivo, la poderosa meccanica strabordava ad arte dalla inedita carenatura; i due Mikuni emergevano sulla destra e il megafono Supertrapp tuonava ad un palmo dall’asfalto sulla sinistra.

Aggressiva, scorbutica e affilata come una katana, un’arma con la quale imporre il verbo sportivo americano in chiave giapponese, il battesimo era pronto: Sundance RR 1000 Weapon I.

Grazie alle modifiche apportate il motore mostrava un decisivo miglioramento della coppia e della potenza massima nell´arco di utilizzazione compreso tra i 4000 e i 9000 RPM.

Una “cura ricostituente” made in Japan che diede i suoi effetti, in quella prima gara del 1988 a Tzukuba il pilota Hiroyuki Ito ottenne un più che onorevole secondo posto con una media di 1 minuto e 12 secondi: un tempo di tutto rispetto, considerando che il record sul giro ottenuto in una gara di Superbike era stato 58” 40.

Inutile dire come il risultato colmò di entusiasmo e soddisfazione Mr. Sundance, quello e i successivi risultati non potevano che spingere oltre il desiderio di sviluppo della Weapon I.

Nel giro di un paio di anni Shibazaki-san si sentiva pronto a preparare una nuova e differente “arma”.

Nel 1991 nasceva una seconda moto seguendo una strada completamente diverse per quanto riguardava il motore: se il motore XR 1000 della Weapon I era stato potenziato in modo da farlo girare in alto, il propulsore della Weapon II doveva essere di cilindrata maggiore, girare in basso ed avere un “tiro” eccezionale.

La base di partenza doveva essere il motore Sportster Evolution.

L’originaria cilindrata di 1200 cc. era cresciuta alla considerevole quota di 1630 cc., aumentando sia alesaggio che corsa, passando addirittura a 92 x 122,5 mm.

Shibazaki aveva provveduto a lavorare sul motore personalmente ma le testate erano frutto della grande esperienza dello specialista californiano, il “mago” del flussometro Jerry Branch.

Pistoni forgiati fornivano un rapporto di compressione di 10,5 : 1.

Valvole, molle ed altri componenti della distribuzione vennero realizzati appositamente per l’impiego agonistico, ad alimentare la mostruosa termica, che era all’epoca il bicilindrico di maggiore cilindrata in azione sulle piste di tutto il mondo, provvedeva un generoso carburatore S&S Super B con diffusore da ben 47,6 mm.

La potenza erogata era attorno ai 100 Cv a 5500 RPM, accensione elettronica twin spark con due candele per cilindro, cambio quattro marce di serie e robustissima frizione Barnett a 14 dischi.

Il telaio in acciaio al cromo-molibdeno, derivato da RS 1200, manteneva il monoammortizzatore in posizione orizzontale mentre particolare attenzione aveva ricevuto l’avantreno: la forcella GCB-Ceriani upside-down era stata sviluppata con la consulenza dei tecnici del team Gazzaniga, dotata di un unico elemento molleggiante/ammortizzante centrale esterno, sul quale si poteva intervenire rapidamente per regolare sia precarico che estensione.

La dimensione dei cerchi cresceva di 1 pollice rispetto alla Weapon I, in relazione alla nuova geometria scelta per la Weapon II i cerchi da 17” davano un’ottima stabilità e precisione di guida.

La carrozzeria rimaneva quella già vista sulla precedente versione, il kit in vetroresina che comprendeva carenatura anteriore, serbatoio, sella e codino era acquistabile dalla Sundance e poteva essere installato su qualsiasi Buell stradale.

Kit Sundance Weapon su Buell RR 1000 stradale

In pista la Weapon II era un autentico mostro, la sua dirompente forza motrice sviluppata ai bassi regimi la rendeva un proiettile sia in partenza che in uscita di curva, il carattere assolutamente unico del bicilindrico a corsa ultralunga regalava una progressione e una rapidità tale da ragalare al team Sundance numerose vittorie dal 1991 fino al 1995.

Takehiko Shibazaki era riuscito a vincere le sue personali scommesse: costruire due vittoriose moto da gara su base H-D, dare ulteriore lustro al suo brand e dimostrare che la fiducia nella filosofia costruttiva di Erik Buell era ben riposta.

Dall’esperienza maturata con le Weapon I & II il team Sundance successivamente allestì una terza, eccezionale motocicletta da competizione per gareggiare in terra Yankee sul circuito di Daytona, ma questa è un’altra storia.

“ una di quelle creature dell’americano che aveva trovato il coraggio di lasciare la Mo.Co. per inseguire i suoi sogni doveva essere sua! “

Scritto da Corrado Ottone.

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BMW: Gelande/Strasse.